Riassunto analitico
Il caporalato (art. 603-bis c.p.), così come originariamente concepito, era un sistema di organizzazione del lavoro agricolo stagionale, svolto da braccianti organizzati in squadre. Si basava sulla capacità del caporale di reperire la manodopera a basso costo, per le prestazioni lavorative presso proprietari terrieri e società agricole. Il caporale ingaggia i braccianti per conto dell’azienda e ne stabilisce il compenso, del quale trattiene una parte, che gli viene corrisposta sia dal proprietario dell’azienda sia dai braccianti. Con l’emergere del diritto del lavoro nel ‘900 la pratica del caporalato è passata progressivamente nelle mani della criminalità organizzata, volta all’elusione delle norme del diritto del lavoro e focalizzata nell’obiettivo principale di questa pratica, sfruttamento a basso costo della manodopera nel settore agricolo. Proprio perché è collegato a soggetti facenti parti della criminalità organizzata, il caporalato mira al reclutamento della manodopera all’interno di quelle fasce sociali al limite, come per esempio lavoratori immigrati, la maggior parte delle volte extracomunitari. Così facendo, in generale, il caporalato offende la Costituzione Italiana proprio facendo riferimento a quei principi fondamentali che la caratterizzano. Inizialmente il fenomeno del caporalato non interessava in particolare gli immigrati perché veniva eseguito a scapito degli stessi italiani, viventi in condizioni marginali, disposti a lavorare in agricoltura a patto di una retribuzione più bassa rispetto ad altri braccianti di altre aree geografiche italiane. Con l’evolversi del diritto del lavoro e con una consapevolezza maggiore da parte dei braccianti italiani stessi, chiaramente l’attenzione dei caporali si è spostata sugli immigrati, come già detto precedentemente. Infatti chi proviene da queste aree geografiche, spesso, affette da altri fenomeni sociali poco favorevoli a buone condizioni lavorative come, guerre civili, politiche dittatoriali o semplici condizioni lavorative insostenibili, migra nella speranza di essere accolto da una società migliore e funzionante. Spesso però non è così perché proprio questi soggetti vengono adescati dai caporali per il tramite delle organizzazioni criminali e vengono sottoposti ad un regime di schiavitù e dipendenza. Queste condizioni e lo stesso fenomeno del caporalato però non si evincono solo nelle imprese agricole, infatti è un fenomeno presente in vari settori dell’industria che vede come parte attiva e passiva dello scenario sempre i soliti soggetti. Oltre all’inclusione di settori diversi dall’agricoltura, presso i quali i caporali cercano manodopera a basso costo, c’è un cambiamento parallelo, una sorta di evoluzione del caporalato dal punto di vista delle dinamiche organizzative. Con questo concetto voglio sostenere che non appena la legge nella storia italiana ha fatto un passo avanti per la riduzione o eliminazione del caporalato, quest’ultimo si è evoluto raggirando quel sistema legislativo apparentemente moderno e lungimirante. Per quanto riguarda l’evoluzione normativa, vedremo nello specifico quali sono state le diverse leggi elaborate dal nostro Legislatore al fine di sconfiggere questa pratica criminosa. Ne osserveremo da vicino le innovazioni, a volte andate a buon fine, a volte no, e giungeremo, dopo un’analisi critica delle diverse Riforme, alle modifiche relative alla nuova ispezione del lavoro dopo il Jobs Act (d.lgs. n. 151/2015). Se ne parlerà ampiamente e se ne approfondiranno i contenuti che serviranno a stilare le conclusioni di questo elaborato. Infine, cercherò di descrivere il funzionamento di quelle pratiche legali di somministrazione della manodopera e delle agenzie interinali, (d.lgs. n. 276/2003) per poter procedere, successivamente, ad una descrizione conclusiva delle principali differenze esistenti tra i “Caporali” e gli enti legali di somministrazione di lavoro.
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