Riassunto analitico
Il contratto di lavoro a tempo determinato è una variante del contratto di lavoro standard a tempo indeterminato. Rispetto a questa fattispecie, il contratto a termine ha una durata prefissata, indicata da una data che stabilisce l’estinzione del rapporto di lavoro. L’istituto del contratto a termine viene per la prima volta disciplinato dalla l. n. 230/1962. Di fronte all’intensa e prolungata fase di inflazione e disoccupazione sperimentata negli anni ’70 e ’80, gli organi di governo italiani scelgono di mantenere alto il livello di protezione del lavoro a tempo indeterminato, pur incentivando l’impiego della manodopera con tipologie contrattuali flessibili. Il mercato del lavoro italiano inizia a caratterizzarsi per una forte segmentazione e dualità tra quanti si trovano impiegati con contratti a tempo indeterminato e, per ciò solo, beneficiano delle più ampie tutele previste contro il rischio di disoccupazione e quanti risultano impiegati in numero crescente con contratti a tempo determinato e, per la temporaneità del rapporto di lavoro, non riescono a maturare il minimo contributivo necessario per accedere alle prestazioni assicurative contro il medesimo rischio di disoccupazione. Questa situazione spinge il legislatore ad intervenire per riformare il mercato del lavoro, anche e soprattutto sulla base delle indicazioni comunitarie e internazionali. Significative sono, al riguardo, le innovazioni della direttiva 99/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. Il d.lgs. n. 368/2001 di recepimento della direttiva comunitaria, amplia notevolmente le ipotesi di ricorso al contratto a tempo determinato. Tale tipologia contrattuale perde, quindi, quel carattere di eccezionalità che lo aveva qualificato in passato: la genericità delle causali richieste e l’abrogazione del principio per cui il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato, provocano la diffusione del contratto a termine come forma di impiego, tout court, flessibile. Gli effetti della crisi economica del 2008 e le difficoltà finanziarie attraversate dall’Italia persuadono gli organi comunitari e il Governo italiano a riformare il mercato del lavoro. La l. n. 92/2012 ha rettificato nel profondo l’istituto del contratto a termine; pur riaffermando che il contratto a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro, modifica il d.lgs. 368/2001, introducendo il principio della c.d. a-causalità. Il vincolo della giustificazione del termine da apporre al contratto cessa pertanto di essere un principio generale, operando solo nel caso di rinnovo; lo stesso termine da apporre al contratto non deve necessariamente essere legato alla temporaneità della prestazione lavorativa, ma rispettare il limite massimo di 36 mesi, oltre i quali il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato. In linea di continuità con la legge del 2012, il d.l. n. 34/2014 (conv. nella l. n. 78/2014), si propone di liberalizzare il primo contratto a tempo determinato tra datore e prestatore di lavoro.
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