Riassunto analitico
Il diritto alla privacy si configura dapprima quale strumento per reclamare uno spazio inaccessibile agli sguardi estranei ed indiscreti; in seguito, con l’avvento della società dell’informazione, si delinea quale diritto alla protezione dei dati personali, che riconosce in capo all'individuo la facoltà di esercitare un controllo sulla circolazione e sull’uso che dei propri dati viene fatto da parte di terzi. Tale ultima accezione viene in rilievo in particolar modo ove detti dati siano impiegati dagli algoritmi, in quanto tali strumenti possono assumere decisioni discriminatorie impattanti sui diritti fondamentali degli individui. Invero, gli algoritmi - attori principali della c.d. società algoritmica - operano su ingenti quantità di dati, assunti come input, al fine di evidenziarne possibili correlazioni, associazioni, pattern. Tali dati esprimono il loro massimo potenziale se analizzati in grandi volumi, come aggregati (c.d. Big Data). Le opportunità emergenti dalla suddetta società sono molteplici, anche solo in termini di velocizzazione e semplificazione di numerosi procedimenti; tuttavia non si possono sottovalutare le notevoli criticità di cui essa può essere foriera. Segnatamente, i soggetti che concorrono al processo di progettazione di un algoritmo compiono scelte condizionate da proprie visioni del mondo e valori individuali i quali, inevitabilmente, vengono codificati all’interno degli stessi algoritmi. Questo presupposto diviene causa di distorsioni sistematiche - non necessariamente intenzionali - nei risultati prodotti, cagionando la perpetrazione delle discriminazioni nei confronti di gruppi già storicamente svantaggiati. Si pone, dunque, un problema di etica degli algoritmi che esige una conciliazione tra l'inarrestabile progresso della tecnologia e la tutela dei diritti umani fondamentali.
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