Riassunto analitico
Un piccolo lembo di terra di una piccola frazione di un altrettanto piccolo comune della provincia di Venezia, si trovò nel mese di giugno del 1918 al centro di uno scontro che lo elevò agli onori della storia. L’epica battaglia che si svolse a Losson e che vide il canale Palumbo come punto estremo dell’avanzata Austro-tedesca, ha segnato questa comunità non solo da un punto di vista culturale ma anche dal punto di vista umano. Il generale Sanna comandante della 33ª Divisione alle dipendenze del XXIII Corpo d'Armata durante le operazioni difensive della linea del Piave, dopo i combattimenti di Losson dichiarò: “…Se cadeva Losson era il varco, si apriva il varco ed era l’irruzione. Tenere Losson fu un prodigio, riprenderlo fu un miracolo…” Rivedere oggi scorrere tranquillamente le acque del Palumbo verso la Fossetta e riguardare le innumerevoli immagini di quella battaglia non può che sollevare delle riflessioni e delle domande sul significato di quegli eventi e la sua eredità. Losson e i suoi fossati che con i suoi filari di viti fungevano da trincee finirono ricolmi di morti tanto da non sapere dove seppellirli. Una soluzione fu buttarli in acqua ma le chiuse di Portegrandi non permisero l'afflusso al mare e rimasero a galla per giorni. Le immagini di cadaveri insepolti ovunque danno la dimensione della carneficina. Ma la battaglia fu vinta e a quelle morti fu dato un senso, un senso di cui la propaganda fascista si appropriò nei decenni seguenti.
Ci fu quindi l’epica “Battaglia del Solstizio” che racconta di come eroici battaglioni della III Armata si siano sacrificati su quel fronte. Già agli inizi del 1917, dopo l’offensiva austriaca nel Trentino, il Gen. Cadorna aveva dato disposizioni per la costruzione di un campo trincerato attorno a Treviso. Nei paesi delle immediate vicinanze cominciarono i lavori di scavo delle trincee tra lo stupore della gente che già cominciava a preoccuparsi per una possibile invasione nemica. Il sistema difensivo comprendeva anche una serie di opere protettive lungo i fiumi Meolo, Vallio e Sile, oltre ai capisaldi di Capo d’Argine e Losson, quindi comprendeva i territori di Meolo e Monastier per finire a Millepertiche dove si estendeva la palude del Sile. La possibilità che la zona di guerra potesse estendersi anche in queste zone era stata prevista dallo Stato Maggiore e percepita come pericolo dalla popolazione. La gran parte dell’Italia vive la guerra con un coinvolgimento degli affetti per il timore della perdita dei familiari al fronte, con la mobilitazione per il lavoro destinato all’industria bellica, con i nuovi ruoli e dinamiche che si vengono a creare dovendo sopperire alla mancanza delle figure maschili che sono partite. C’è una parte di territorio che la guerra l’ha vissuta e subita in maniera drammatica: sono le popolazioni delle terre invase sulla destra del Piave che hanno dovuto lasciare tutto e partire in modo massiccio dopo Caporetto e sono anche le popolazioni della riva sinistra che si sono trovate sulla linea del fronte e sono state sfollate. In questa cornice si tratterà di comprendere e mettere in rilievo la popolazione di Meolo e il suo territorio soprattutto nella primavera del 1918. In questo microcosmo, grazie alla ricerca negli archivi storici e privati, il materiale raccolto dal “Centro Documentazione Etnografica R. Pavanello” e attraverso i racconti di cittadini che hanno accettato di condividere i loro ricordi e hanno messo a disposizione documenti e immagini sono emersi tutti i grandi temi sociali e civili del periodo. La guerra rimane nello sfondo e protagonisti sono temi come i profughi, la prigionia di guerra, la presenza di truppe italiane e straniere e la questione dei beni artistici.
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