Riassunto analitico
Il product placement, ovvero l’inserimento di marchi/ prodotti all’interno di contesti non pubblicitari, è una pratica nata originariamente per la necessità di connotare ambienti e personaggi all’interno di un tessuto narrativo che abbia l’ambizione di fornire una rappresentazione credibile e aggiornata della realtà. Di fatto, il binomio cinema-product placement è sempre esistito, seppur non nella sua dimensione commerciale. In Italia, nonostante gli esempi rilevati in numerose pellicole degli anni settanta ed ottanta, non è stato accolto bene a causa delle sue caratteristiche che ne celano agli occhi dello spettatore l’intento pubblicitario. Questa diffidenza si è tramutata in divieto con il decreto legislativo 74/1992, che lo include nelle cosiddette pratiche di pubblicità ingannevole o “occulta”. Solo nel 2004, il decreto legislativo meglio conosciuto come “Decreto Urbani" riammetterà questa pratica riconoscendone l’impossibilità di influire direttamente sul comportamento d’acquisto dello spettatore. Un impulso reale allo sviluppo del mercato riguardante questo innovativo strumento di comunicazione si ha però nel 2010 quando, con l’entrata in vigore della Legge Finanziaria 244/2007, viene introdotto il tax credit esterno, cioè un robusto incentivo fiscale per i soggetti esterni al settore cinematografico pronti ad investire nello stesso. Risulta così chiaro come il product placement, grazie ad una sinergia con il credito d’imposta esterno, vada a configurarsi come una reale leva finanziaria per il settore. Se gli effetti di questi provvedimenti sull’industria cinematografica italiana sono stati celeri e non confutabili, rimane ancora acceso il dibattito riguardo la compatibilità di questa forma di finanziamento con un cinema che possa definirsi “di qualità”, volto cioè a non rappresentare solo una fonte di profitto per i realizzatori ed una mera modalità di intrattenimento per i fruitori. Quindi, pur considerando che il territorio di riferimento di un “cinema di qualità” presenta dei confini tuttora labili e non oggettivi, la presente analisi si pone come obiettivo quello di comprendere il ruolo del product placement in un insieme di pellicole italiane le cui riconosciute qualità non si arrogano tuttavia l’esclusività della suddetta definizione. In pratica, il lavoro che si andrà a svolgere, oltre ad una parte compilativa dedicata alla presentazione delle caratteristiche principali del product placement, della sua storia e del rapporto con l’industria cinematografica, prevede un’analisi di tipo descrittivo che ha come punto di partenza la pubblicazione di Nelli “Product Placement made in Italy. Le marche nei film italiani dal 2004 al 2011” e alcune delle conclusioni e tendenze da essa rilevate. Nello specifico, si andranno a considerare due insiemi di film italiani nel quinquennio 2012/2016, uno definito a partire da variabili riconducibili al successo economico di una pellicola, l’altro risponderà invece alla valutazione della qualità dei film. Il lavoro si propone di indagare in modo analitico se, alla luce degli interventi legislativi di cui si è parlato in precedenza, il PP possa essere considerato come una fonte reale di finanziamento anche per quelle pellicole che si allontanano da una mera logica di guadagno per presentarsi come opere capaci di far passare un messaggio, una visione del mondo o anche solo un’estetica propria di chi le ha partorite. L’analisi proverà inoltre a fotografare la situazione attuale e le caratteristiche del mercato del product placement in un continuo confronto con l'opera di Nelli.
|