Riassunto analitico
Negli intenti iniziali, questo elaborato avrebbe dovuto unicamente presentare uno studio sull'istituto del ius respondendi, tentando, attraverso l'analisi delle fonti e delle innumerevoli pagine stese dalla dottrina nel corso dello sviluppo della romanistica, di rendere conto della nascita, dello sviluppo, dei contenuti e delle forme, di quella che Guarino definì come “patente del buon giurista”. L'esigenza di aggiungere un ulteriore, per quanto modesto, tassello al variopinto mosaico delle congetture e delle ipotesi sulla natura di codesto istituto, è stata generata dalla presa d'atto che ancor oggi, nonostante il lavoro esegetico di numerose generazioni, permangono dubbi e perplessità e riguardo alla fisionomia dell'istituto e riguardo persino alla sua veridicità storica. Non ci è parso per queste ragioni soddisfacente limitarci a prendere in esame le tre fonti giuridiche che tradizionalmente riguardano l'argomento, ovvero D. 1, 2, 2, 48-50, Gai. 1,7, e I. 1, 2, 8, giacché esse, da sole, non hanno risolto molte incertezze: esse saranno ovviamente considerate, ma nell’ultima parte della nostra trattazione, dopo aver ricostruito le linee fondamentali della storia giuridica romana entro cui risulta opportuno inquadrarne la lettura (cap. IV). Ci è infatti sembrato necessario premettere a ciò un discorso storico e giuridico che quantomeno pretenda di delineare, per sommi ma incisivi capi, l'evoluzione dell'attività giurisprudenziale in Roma, e nello specifico, di quel particolare aspetto di detta attività, il quale prende il nome di respondere; ché infatti, a ben guardare, il ius respondendi altro non è se non l'estremo passaggio evolutivo di una pratica antica come l'Urbe stessa; e per questa ragione, essendo l'istituto inserito in un contesto di riferimento ben più ampio delle tre fonti canoniche sopra citate, esso dovrà essere studiato tenendo presente ciò che furono, almeno fino all'avvento del Principato, l'attività rispondente e il suo prodotto, ovvero il responsum. In virtù di questo assunto, tratteremo dell'attività rispondente svolta esotericamente dai pontifices all'interno del loro collegio, e del successivo processo di “laicizzazione” di coloro che praticavano la tecnica giurisprudenziale, e in particolare di Publio Mucio, Bruto e Manilio, qui fundaverunt ius civile (cap. I); proseguiremo ripercorrendo non solo le innovazioni apportate alla scientia iuris dal lavoro di Quinto Mucio Scevola, e della miglior prova offerta da Servio Sulpicio Rufo proprio nell'arte della redazione dei responsa, ma anche del rapporto, travagliato, fra le esigenze della scienza giuridica e del ceto dei giuristi e le istanze di accessibilità ai contenuti del diritto proprie della restante parte della classe dirigente romana (cap. II); tratteremo poi dell'ascesa di Augusto, della ideologia retrostante il progetto del Principato, della figura di Antistio Labeone e della sua più celebre opera, i Πιϑανά, dei contenuti della stessa, i quali accendono più di un lume sul metodo di formulazione del responsum, sull'impiego delle rationes decidendi, ponendosi come punto di riferimento per le generazioni di giuristi successive (cap. III). Infine, tutto ciò premesso in conformità alla visione del ius respondendi, che appare come ultima tappa evolutiva della più generale attività rispondente, ci concentreremo sui già citati testi che, nonostante tutte le criticità che andremo a rilevare, rappresentano una pietra miliare in materia su cui confrontarsi e che, per ciò stesso, non potrebbero non essere presi in considerazione.
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