Riassunto analitico
Scopo ultimo di questa trattazione è rispondere una domanda complessa ma allo stesso tempo inevitabile: il sigillum confessionis si salverà dall'onda d'urto degli abusi ecclesiastici? Sembra infatti evidente che l’odierno dibattito sull’attualità stia mettendo in ombra i dinamismi storici che stanno alla base del segreto confessionale. Ci chiediamo quindi se esistono settori che, per la loro stessa essenza, sono preclusi alla legge giuridica e devono necessariamente essere disciplinati dalla legge morale interna ad ogni uomo? La trattazione sarà quindi divisa in due parti. In un primo momento cercheremo di capire come la Chiesa nel corso dei secoli ha regolamentato il sigillo, indagando anche le profonde motivazioni teologiche che stanno alla sua base. In un secondo momento cercheremo di comprendere come il diritto secolare - italiano ma non solo - si pone nei confronti del sigillo, a volte proteggendolo a volte ostacolandolo. La tutela del sigillo sacramentale si sviluppa storicamente insieme alla forma del sacramento della penitenza. Appare evidente che la penitenza pubblica dei primi secoli della storia della Chiesa mal si concili con il dovere alla riservatezza. L'evoluzione della pratica confessionale include quindi il passaggio dalla penitenza pubblica alla penitenza segreta, che prende il nome di "confessione". Il Concilio Lateranense IV, attraverso l'Omnis utriusque sexus, consolida definitivamente la protezione assoluta del segreto confessionale, legando indissolubilmente la sua inviolabilità all'autorità divina e riconoscendo la centralità del sacramento della penitenza nella giurisdizione ecclesiastica. Il Concilio di Trento (1545-1563) ha poi confermato la pratica del sigillo confessionale come parte integrante del sacramento della Penitenza. Questa tendenza trova successivamente espressione nella normativa del Codex Iuris Canonici del 1917, che ribadiva il valore assoluto del segreto confessionale. I canoni 889 ed 890 disciplinavano il sacramento della penitenza, sottolineando l'assoluta necessità di osservare il sigillo. Al confessore non veniva lasciato nessun margine di discrezionalità. Il Concilio Vaticano II avviò infine una più ampia revisione del Codice di Diritto Canonico, orientandolo maggiormente verso la missione pastorale della Chiesa e le esigenze della vita moderna. L'approccio pastorale del concilio ha influenzato profondamente la vita ecclesiale e ha trovato la sua piena realizzazione nel Codice del 1983. Nel Codex vigente, si evidenzia una notevole continuità con la precedente normativa riguardante il sigillo sacramentale, ma si nota anche una chiara influenza dell'ecclesiologia conciliare, come si manifesta nel canone 983. Nell’ottica della trattazione non può non essere citata anche la recentissima Nota della Penitenzieria Apostolica sull’importanza del foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale. Per quanto riguarda la seconda parte della trattazione, è qui importante ricordare come l’articolo 15 della nostra Costituzione tuteli la segretezza delle comunicazioni, l’articolo 622 del codice penale punisca la rivelazione del segreto professionale e l’articolo 200 del codice di procedura penale consenta ad alcuni soggetti di astenersi dal testimoniare. Il segreto dei ministri di culto della religione cattolica è tutelato anche da una norma di natura pattizia, facciamo riferimento all’articolo 4 n. 4 dell’Accordo di Villa Madama attuato attraverso la legge 121/1985. Di nostro interesse in questo contesto sono poi gli orientamenti giurisprudenziali eversivi, prima fra tutti la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, 15 dicembre 2016 - 14 febbraio 2017, n. 6912.
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