Riassunto analitico
L’elaborato si propone di analizzare i profili procedurali e sostanziali dell’istituto della revisione nel processo penale. La trattazione dell’istituto, denso di implicazioni dottrinali e giurisprudenziali, si dipana dall’analisi del giudicato penale che, nel corso delle evoluzioni normative si è andato via via scolorendo, perdendo i caratteri di assolutezza che lo connotavano in principio. Il giudicato penale è un istituto imprescindibile in ogni ordinamento, infatti, è posto a baluardo della pace sociale, poiché assicura la certezza iuris, rispondendo ad una primaria esigenza pratica, ovverosia quella di assicurare il principio del ne bis in idem, non permettendo che uno stesso soggetto possa essere illimitatamente sottoposto a processo per un medesimo fatto e contemporaneamente conferire carattere di irrevocabilità alla pronuncia emessa. Assunta l’essenzialità del giudicato al fine di garantire non solo la coerenza e la cogenza delle leggi, ma anche la tutela dei diritti e delle libertà, è pur vero che l’ordinamento deve proporsi di assicurare l’applicazione di un diritto giusto. Partendo dal presupposto che, anche all’interno di un processo di stampo accusatorio, sarà sempre possibile l’errore giudiziario, il legislatore deve preoccuparsi di costruire dei mezzi idonei alla sua rimozione, anche qualora la sentenza sia diventata granitica perché passata in giudicato. Al fine di assicurare effettivamente i diritti e le libertà fondamentali, nonché per risolvere situazioni contraddittorie che possono emergere nell’attività sia normativa, sia giurisprudenziale, il legislatore ha predisposto l’istituto della revisione. Nel codice di procedura penale la revisione è disciplinata all’interno del Libro IX e fa parte dei mezzi di impugnazione straordinaria. L’istituto in questione ha conosciuto un’evoluzione normativa tortuosa: da istituto con funzione di contraltare del giudicato a istituto essenziale ed imprescindibile per rimuovere eventuali ingiustizie, cercando di eliminare l’inevitabile scarto tra verità reale e verità processuale. Alla luce degli emendamenti avvicendatisi nel corso degli anni, volti ad estendere sensibilmente la sua area di operatività, comprovando la sempre maggiore corrosione del mito del giudicato, gli emendamenti suddetti, densi di dibattiti dottrinali giungono fino alla rivoluzionaria pronuncia della Corte costituzionale n.113 del 2011. La pronuncia de quo dichiara l’incostituzionalità dell’art. 630 c.p.p. nella parte in cui non ammette la possibilità di riaprire il processo in caso la pronuncia fosse stata rigettata dalla Corte EDU perché contraria ai principi sanciti all’interno della CEDU. L’elaborato procede con l’analisi del dibattito sorto circa l’opportunità di un intervento legislativo che possa predisporre un meccanismo ad hoc per porre rimedio alle violazioni delle disposizioni della CEDU, assicurando la fairness of proceedings. Ancora una volta si avverte la necessità di emendare l’istituto della revisione, anche alla luce delle inevitabili premesse che lo pongono in relazione con le altre fonti entrate a far parte del nostro ordinamento, senza, però, la capacità di tradurlo in concreto.
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