Riassunto analitico
L’infortunio in itinere è un argomento tanto datato quanto controverso, basti pensare che in Italia ci si è posti il problema a cominciare dal 1870. Ma da allora si è dovuto attendere quasi 28 anni prima che sorgesse la prima normativa in materia tramite la L. 80 del 1898 che ha istituito l’assicurazione obbligatoria per i datori di lavoro e la “Cassa Nazionale di Assicurazione per gli infortuni degli operai sul lavoro” (ente da cui nascerà l’INAIL). Da allora ci furono vari interventi legislativi e giurisprudenziali, ma l’infortunio in itinere continuava ad essere un argomento controverso: in passato certi autori ne negavano l’esistenza. Solo con il DPR 1124 del 1965 si è cominciata a profilare una codificazione della materia, poi nel 2000 con il D.Lgs. n.38, ha iniziato a prendere forma l’attuale disciplina in materia d’infortunio in itinere. Non tutti i danni di natura fisica e psicologica possono essere considerati infortuni sul lavoro: a tal fine il danno (di qualunque natura esso sia) deve risultare inerente all’attività lavorativa (verificatesi in occasione di lavoro). Inoltre deve risultare derivato da una causa che, nel medesimo tempo, deve essere violenta, rapida ed esteriore. Non risulta risarcibile il danno derivato da condotta dolosa del lavoratore, ovvero da comportamento rientrante nella nozione di rischio elettivo. Però non si esclude la presenza di eventuali concause di lesione nella determinazione del danno. Il discorso si estende all’infortunio in itinere, inteso come l’infortunio che colpisce il lavoratore mentre questo percorre l’iter (il percorso) che divide la propria abitazione dal luogo di lavoro e viceversa. Al fine del risarcimento l’iter deve essere quello diretto e più breve che collega l’abitazione al luogo di lavoro. Ma risulta tutelato anche il percorso che collega il luogo di consumazione abituale dei pasti a quello di lavoro. La tutela dell’infortunio in itinere dipende anche dal mezzo a cui si ricorre per completare il percorso, il quale deve risultare necessitato e comportare il minor rischio per il lavoratore. Si è passati da un periodo in cui il ricorso al mezzo privato non era considerato giustificato in alcuna occasione ad oggi in cui si considera come “sempre giustificata” la bicicletta (per via della sostenibilità ambientale del mezzo in questione). Ma ci sono dei limiti: il conducente deve rispettare il Codice della Strada e non deve trovarsi sotto l’effetto di sostanze psicoattive. Anche in tema di deviazioni dal percorso la dottrina risulta particolarmente fiscale: non sono ammesse le deviazioni non necessitate (stessa cosa dicasi per le interruzioni). Il discorso si estende anche all’infortunio in itinere in ambito agricolo. Ma i casi controversi non mancano: basti pensare all’infortunio in itinere in occasione di manifestazioni sindacali, in smartworking, quando il lavoratore decide di ricorrere alla micro mobilità elettrica ed al caso di contagio da Covid-19. La materia è molto complessa e relativamente recente (nonostante i tentativi di regolarla risalgano agli anni 60). Gli studi che si devono ancora compiere sono lunghi e complessi. La rivoluzione informatica/industriale attualmente in atto non migliora certo le cose. Non è da escludere che passino molti anni prima che la giurisprudenza si faccia un’idea precisa dell’istituto ed emetta pronunce coerenti con i bisogni attuali.
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