Riassunto analitico
La tesi si prefigge di analizzare l’articolato tema del diritto al silenzio attraverso una ricostruzione della sua genesi ed evoluzione nel corso della storia giuridica del processo penale italiano, tenendo precipuamente conto della normativa di attuazione dei principi del giusto processo (legge n. 63 del 2001), la quale ha permesso di mettere in luce la tutela e i limiti dello ius tacendi dell’imputato in ottemperanza alle garanzie costituzionalmente previste dal nostro ordinamento giuridico. Viene, quindi, approfondito il complesso rapporto che intercorre tra il principio del nemo tenetur se detegere e, da una parte, il diritto al contraddittorio, posto a fondamento dell’odierno processo penale, e, dall’altra parte, l’irrinunciabile finalità processuale dell’accertamento della verità giudiziale. Nella consapevolezza che il diritto al silenzio incarni uno dei principi fondamentali del diritto processuale penale contemporaneo e rappresenti, prima facie, un baluardo garantistico di diretta attuazione del diritto di difesa, l’obiettivo dell’elaborato è quello di far emergere l’importanza di un contemperamento tra la necessità di salvaguardare il diritto a non essere illegittimamente coartato, fisicamente o psicologicamente, ad autoincriminarsi e l’esigenza di non avversare il buon funzionamento della macchina giudiziaria. Nella trattazione si pone, poi, in rilievo l’attuale involuzione del nemo tenetur se detegere risultante dall’affermazione dell’innovativa figura dell’imputato-testimone, dalle devianti prassi giudiziarie inveterate e dall’effettiva valutazione probatoria dello ius tacendi, il cui esame culmina con un’analisi della possibilità di una propria estensione ai microsistemi processuali non, stricto sensu, penali.
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